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giovedì 13 ottobre 2011

Con la testa fra le nuvole



Il vecchio gettò un’ultima occhiata al suo operato che si allontanava dondolando nel niente, e poi si rilassò con un sospiro di sollievo. “Certo che bravo son proprio bravo. Sfido chiunque a creare tutto ciò e in così poco tempo”, pensò, grattandosi con gusto la lunga barba canuta. “E che nessuno mi venga a dire che sono partito avvantaggiato, perché lo fulmino. Qui non è questione di vantaggi né di potere o di santi in paradiso; è che o ci sai fare o altrimenti non combini niente. E io, modestamente, ci so fare. E anche disfare, se mi gira”, aggiunse ad alta voce ridacchiando fra sé e sé. Era decisamente di buon umore quella sera. Stanco, ovviamente, ma più che soddisfatto. Ci aveva lavorato per un po’ di giorni e di buona lena, ma ora che tutto era fatto non gli sembrava di averci messo poi più di tanto. Il giusto, insomma, e finalmente poteva riposarsi. Avercene di momenti come questo, pensò. Anche se, a ben guardare avrebbe potuto essere un po’ più preciso nei dettagli. “Ma quando mai! La stanchezza mi dà alla testa, evidentemente, e straparlo. Figurati se io posso aver dimenticato qualcosa”, borbottò perplesso, mentre un velo di disagio si insinuava nei pensieri oscurando la sicurezza di poco prima. Per scacciarlo non trovò niente di meglio che tornare a rimirare la sua creatura, così sferica e ricamata con ogni sfumatura di marrone, verde e blu. “Quanto sei bella! Per forza, ti ho fatto io. E sei perfetta! Voglio vedere chi osa dire il contrario!”, tuonò stizzito, meravigliandosi per primo del tono imperioso della sua voce baritonale. 
Per scacciare definitivamente il vago malessere che gli stava rovinando la festa decise di andarsene subito a dormire, e non pensarci più. Non fu però una notte tranquilla. Sognò un liquido bluastro e spumoso nel quale galleggiava alla deriva un oggetto enorme dalla curiosa forma triangolare - con tanto di occhi, bocca, orecchie e persino capelli - che lo guardava con stupore misto a malinconia: “Perché ti sei dimenticato di me? Che cosa ti ho fatto di male? Non sono forse degna di essere trattata come tutte le altre?”, si lamentava nel sogno la creatura aliena e al tempo stesso familiare. “Ma che dici? Chi sei? Che vuoi?”, rispose a mezza voce il vecchio, rigirandosi agitato nel letto. Quando venne l’alba, il sogno era ancora lì davanti ai suoi occhi, preciso e tridimensionale come una piramide egizia. “Vuoi vedere che mi son davvero scordato qualche pezzo?”, rifletté nel dormiveglia. “E va bene, vorrà dire che andrò a controllare, anche se oggi è domenica e avevo promesso di non lavorare per nessun motivo”. Senza nemmeno vestirsi, si avviò verso il punto dal quale poteva vedere al meglio la sua opera, quando strada facendo incespicò in qualcosa di appuntito rischiando di finire gambe all’aria. “E questo che cos’è?”, sbottò a voce alta. Ma poiché era solo, nessuno gli rispose. Si chinò su un grosso oggetto triangolare ed ebbe un sussulto: eccolo qua il suo incubo, in carne e ossa. O meglio, in terra, alberi, fiori, ulivi, vigneti, rocce, scogli e spiagge, più un cono altissimo, scuro e fumante nel quale era appunto inciampato. “La Sicilia! Stavo per dimenticarmi della Sicilia!!!”, gridò in preda al panico, raccattando in fretta e furia quel pesantissimo lembo di terra emersa per andarlo a lanciare verso il basso in modo che finisse dove doveva, ovvero sulla punta della penisola che si era divertito a forgiare a forma di stivale. “Oddio che spavento, e che fatica!”, sussurrò senza nemmeno accorgersi di essersi auto-citato e prima di accasciarsi stremato per lo sforzo. Si riaddormentò all’istante. E pochi minuti dopo, l’intero Paradiso risuonava del placido russare del padrone di casa.