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lunedì 25 novembre 2013

Daniel e Il Liberty insieme, per una cena a 4 mani tra 'vicini'

Andrea Provenzani, Daniel Canzian e le rispettive brigate
Una cena a quattro mani - ovvero con due chef che collaborano nella realizzazione di una serata - non è certo una rarità. Lo è invece quella firmata ieri sera - 24 novembre - da Andrea Provenzani e Daniel Canzian. Perché i rispettivi locali - Il Liberty e Daniel (quest'ultimo, aperto da poche settimane, ha ospitato la serata) - si trovano entrambi a Milano e a pochi metri di distanza l'uno dall'altro. Ma non per questo si considerano 'concorrenti' e men che meno 'rivali': al contrario, si stimano reciprocamente e vanno orgogliosi della diversità delle proprie scelte gastronomiche che si riflettono nei loro piatti. Da qui, l'idea di sfruttare la domenica sera - giornata di riposo per entrambi e per le rispettive brigate - per chiamare a raccolta clienti e amici proponendo loro un menu 'doppio', dove ognuno dei due chef ha preparato antipasto, primo, secondo e dolce. Così, ai Cannoli di polenta al nero con baccalà del Daniel, Il Liberty ha affiancato una Crostata laccata al baccalà; i Cappelletti di magro in acqua al pomodoro firmati Canzian hanno fatto coppia con i Ravioli ripieni di risotto alla milanese in ristretto di ossobuco di Provenzani; e poi, il Rombo al Riesling con ortaggi autunnali del padrone di casa è stato seguito dai Panzerotti di cotechino e lenticchie con mostarde dello chef ospite; per finire in dolcezza con lo Zabaione al
Panzerotti di cotechino
panettone di Daniel e la Sbrisolona con mele, cannella, gelato, uvetta e rum di Andrea.
Cappelletti in acqua di pomodoro
Degustare contemporaneamente la delicatezza e l'essenzialità dei piatti di Canzian e la concretezza e decisione di quelli di Provenzani è stata un'occasione preziosa e utile per tutti. Per chi ha preso posto ai tavoli, perché ha potuto sperimentare come la diversità faccia rima con varietà, e quindi con arricchimento; per chi ha lavorato in cucina e in sala, perché ha vissuto in prima persona come l'unione faccia davvero la forza - e anche il gusto - mettendo inoltre in circolazione bella energia che non può che ripercuotersi nei piatti e nell'atmosfera. In altre parole, quella di ieri sera è un'esperienza positiva sotto  molti punti di vista. E, come tale, da ripetere.
Fiorenza Auriemma

lunedì 18 novembre 2013

Capricci & Sapori, piccola e deliziosa scuola di cucina

Le postazioni per cucinare
Chi volesse seguire un corso di cucina, a Milano non ha che l'imbarazzo della scelta. A partire dalle scuole storiche e rinomate fino a quelle che strizzano l'occhio alla gastronomia di terre lontane. Capricci & Sapori, nata da poche settimane in via Felice Casati 31, si inserisce alla perfezione in questa tavolozza didattico-culinaria. Informale e concreta, questa 'piccola scuola di cucina' (come cita il logo) ricorda quella di una casa attrezzata di tutto punto e aperta agli amici che desiderino affiancare la cuoca di turno nella preparazione delle ricette per la cena. Ed è proprio questa l'atmosfera e l'intento di Capricci & Sapori: far sentire 'a casa' e a proprio agio chi arriva qui per indossare il grembiule e prendere posto attorno al lungo tavolone attrezzato con fuochi a induzione, tagliere e attrezzi, in modo che gli 'alunni' possano abbinare la teoria alla pratica. Il tutto ovviamente sotto l'occhio vigile e agile della docente di turno. Che - proprio come un'amica esperta e e felice di mettere a disposizione il proprio bagaglio di conoscenze gastronomiche - non punta tanto o solo a spiegare le basi della gastronomia, bensì a condividere ricette veloci e d'effetto, trucchi, consigli, tecniche semplici ed efficaci che permettano di imparare a cucinare in modo easy e rapido ottenendo comunque piatti gustosi e intriganti. E portandosi poi a casa le ricette scritte di piatti realizzati nella serata.
Preparazione del Polpo alla Luciana
Le vellutate impiattate
Basta dare un'occhiata al calendario dei corsi per capire qual è il 'taglio' di Capricci & Sapori: si va dalle vellutate ai dolci a base di verdure; dai finger food per un aperitivo casalingo ai vasetti golosi da regalare; dai menu 'anticrisi' di carne o di pesce alla 'Cucina rapida col trucco' per realizzare una cena raffinata in due ore; dalla frolla per biscotti e crostate alle ricette vegetariane, fino alle specialità della cucina napoletana. Quest'ultima è affidata a Daniela De Simone, tutor di cucina partenopea a Detto Fatto (RAI2), nonché fondatrice di Capricci & Sapori insieme a Magda Santangelo. Quando è il suo turno ai fornelli della scuola, Daniela insegna a preparare primi piatti, torte rustiche, la cena della vigilia di Natale e altre delizie napoletane ma non solo. Che ovviamente vengono degustate tutti insieme - alunni e docenti - alla fine di tutte le lezioni di Capricci & Sapori. Scuola che su richiesta mette a disposizione spazio, attrezzature e - volendo - anche docente per corsi e lezioni en demand, eventi privati, feste di compleanno, addio al nubilato, shooting ecc. E per chi volesse fare un regalo culinario approfittando delle feste imminenti, sul sito della scuola trova 'Metti un corso sotto l'albero': scelto il corso da omaggiare, lo si prenota via mail e poi si scarica il coupon da compilare, incartare e infiocchettare.

Fiorenza Auriemma

giovedì 7 novembre 2013

Con Turbigo, sui Navigli di Milano tira aria nuova

L'ingresso di Turbigo, sul Naviglio
A Milano, i Navigli o li ami o li odi. Alla prima categoria appartiene chi ha un debole per folla, confusione, infilate di locali, ore piccole a tutti costi ecc. Alla seconda chi al contrario vuol stare alla larga da tutto ciò. Esiste però anche un'altra 'faccia dei Navigli' che ha come modello l'atmosfera milanese semplice, familiare e rilassata che fino qualche decennio fa caratterizzava questa tipica zona meneghina. E il cui obiettivo è anche far tornare sui Navigli chi da tempo preferisce non frequentarli più.
A questo nuovo filone appartiene Turbigo, locale che la scorsa estate ha aperto in sordina ai primi numeri dell'Alzaia Naviglio Grande, a fianco dell'hotel Maison Borella. Posizione non casuale, visto che Turbigo è il ristorante per i clienti della Maison, i quali possono sedersi nel locale per colazione, pranzo, e cena. Così come può del resto fare chiunque, dal martedì alla domenica, e con la stessa tipologia di offerta: ovvero a colazione (anche con piatti salati), a pranzo (anche con panini e insalate) e a cena. Oltre che tutto il giorno per un caffè, un tè, un drink. Anche sfruttando, nelle giornate di sole, i pochi ma comodi e tranquilli tavolini esterni che affacciano sul naviglio.
Linguine all'olio di vongole
Gamberi con crema di zucca
Niente è causale in Turbigo. A partire dal nome, scelto perché è lo stesso di una località che si trova quasi alla sorgente del Naviglio Grande, e quindi come omaggio all'acqua che da secoli entra ed esce da Milano. O dal team che 'firma' il locale, ovvero Giovanni Fiorin, Diego Rigatti e Tiziano Vudafieri, gli stessi 'papà' di Pisacco e Dry Cocktails & Pizza, in via Solferino. Proseguendo per i dettagli e il sapore antico che contraddistinguono gli interni del locale (da scoprire di persona, aguzzando vista, ricordi e sensibilità). Per finire - last but not least - con il menu, studiato su misura, con intelligenza e lungimiranza, per un locale 'all day long' pensato per il benessere dei clienti. La qualità dei piatti proposti e la scelta di offrirli in versione 'modulare' sono infatti l'asso nella manica di Turbigo: nel primo caso, il 'grazie' va a Raffaele Lenzi, chef campano trentenne che ha imparato le basi del  mestiere all'Alberghiero di Napoli per poi consolidarle e ampliarle sul campo a Londra, New York, a Villa Feltrinelli, così come al fianco di Elio Sironi e Bruno Barbieri, fino a lavorare come sous-chef all'Hotel Armani di Milano. Per poi accettare di diventare titolare delle cucine di Turbigo (che - per la cronaca - nel prossimo mese di gennaio verranno rinnovate per permettere allo Chef di dare maggior spazio alla sua verve napoletana). La futura proposta partenopea affiancherà dunque quella che è e continuerà a essere il punto di forza di Turbigo: una carta con accento 'milanese' che però lascia spazio a creatività ed emozioni gastronomiche internazionali. Oltre a prevedere - come anticipato qualche riga sopra - una particolare formula modulare. Infatti, la classica suddivisione tra antipasti, primi e secondi, a Turbigo lascia il posto a una lista di piatti senza la classica gerarchia: pasta, riso, carne e pesce, infatti, sono pari grado in carta, e cambiano prezzo e dimensioni in base alla volontà di chi li ordina. All'aumentare delle portate, in pratica, diminuiscono sia la porzione sia il costo. Ad esempio, chi sceglie di ordinare un solo piatto, lo pagherà 14 euro e sarà abbondante, mentre per due piatti il totale sarà di 25 euro, e quello ordinato come secondo sarà di dimensioni ridotte rispetto al primo. Lo stesso, in sequenza, vale per le tre portate al costo di 38 euro. Fermo restando che si può appunto decidere di ordinare le spettacolari Linguine con olio di vongole, peperone arrostito e pane al nero come primo, secondo o terzo piatto del proprio menu personale, avendo di conseguenza porzioni di dimensioni differenti. Oppure scegliere di aprire con un generoso piatto di Gambero, crema di zucca, puntarelle e melograno per poi proseguire con un porzione ridotta di Risotto allo zafferano, genovese napoletane e e funghi. Insomma, Turbigo è l'occasione per provare un menu 'fai da te', da strutturare in base all'appetito, alla disponibilità di tempo personale e del momento. In alternativa a questo incastro personalizzato dei piatti, Turbigo prevede comunque anche panini, verdure e minestre.
Fiorenza Auriemma

mercoledì 30 ottobre 2013

Buone Forchette per Ail: quando il cibo fa davvero bene alla salute



La locandina dell'iniziativa
A Milano, nei prossimi quattro mesi scegliere di mangiare in un ristorante di qualità potrà far rima con ‘possibilità’. Di fare ricerca in campo medico, e quindi in futuro di curare. Questo grazie all’iniziativa - sapientemente battezzata Buone Forchette per Ail - che prende il via lunedì 4 novembre per chiudersi venerdì 28 febbraio. L’idea - frutto della collaborazione tra Ail (Associazione italiana contro le leucemie), Identità Golose e una trentina fra i ‘top’ di Milano - è semplice geniale al tempo stesso: io vado a pranzo o a cena in un ristorante, e al momento di pagare ‘lascio’ da un minimo di 2 a un massimo non specificato di euro in più rispetto al conto. Non come mancia, ben inteso. Bensì come contributo – con tanto di ricevuta che attesta la donazione - per raccogliere le risorse necessarie ad avviare una importante ricerca in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano. Non è questa la sede per specificare meglio di che ricerca si tratta. Chi volesse saperne di più, trova tutto qui. Quel che conta in questo luogo è cercare di spiegare l’essenza dell’idea e del gesto che le ‘buone forchette’ hanno l’occasione di compiere: mangiare bene traendone vantaggio per il proprio benessere, pagando tutto questo qualche euro di più in modo che un domani qualcuno altro possa guarire anche grazie a quel gesto. Bello, no? Soprattutto in questo periodo che vede la sanità e la ricerca costrette a stringere sempre di più la cinghia, ecco un modo come un altro per ringraziare la vita di essere in salute e poter godere della buona cucina, ricambiando la ‘gentilezza’ a distanza e in modo anonimo ma consapevole.
La stampa di Biscalchin
Alcuni tra gli chef coinvolti
Questa la lista dei locali che hanno accettato di fare da tramite per questa particolare raccolta di fondi: Al Mercato, Al V Piano, Blu, Chick’n Quick, Cucina del Toro, D’O, Daniel, Dopolavoro Bicocca, Erba Brusca, Finger’s Garden, il Liberty, il Luogo di Aimo e Nadia, il Marchesino, Innocenti Evasioni, La Brisa, La Maniera di Carlo, Langosteria 10, Manna, Pane e Acqua, Pastamadre, Pescheria da Claudio, Pisacco, Ratanà, Refettorio, Sadler, Timè, Trattoria del Nuovo Macello, Trattoria Mirta, Turbigo, Wicky’s. Qui i rispettivi indirizzi e numeri di telefono.
C'è anche un altro modo per partecipare a questa campagna di raccolta pro Ail: donare almeno 25 euro attraverso i siti di Buone Forchette per Ail,  Ail Milano e Identità Golose, ricevendo in cambio una cascata di colori: ovvero una stampa - autenticata e a tiratura limitata - dell’opera originale “Buone Forchette” realizzata dall’illustratore Gianluca Biscalchin.
Fiorenza Auriemma




martedì 29 ottobre 2013

Viola Enoteca di Milano, un luogo che nutre e stimola

L'insegna
In città come Milano dove abbondano locali, ristoranti, bar, enoteche, bistrot, pub ecc., come scegliere un posto dove pranzare, cenare, bere un bicchiere di vino in compagnia? Un valido criterio può essere affidarsi al proprio istinto e puntare sulla corrispondenza tra 'l'abito' che il locale sfoggia, e ciò che entrando e guardandosi intorno si percepisce come la vera sua 'anima'. Più o meno come avviene con le persone, insomma. Con Viola Enoteca è andata così: il luogo fisico di via Pavia 6/2 - in una parte tranquilla della zona Navigli - è caldo, colorato e vivace quanto basta, accogliente e professionale, essenziale senza essere banale, per niente 'modaiolo; e la sua essenza coincide con questo aspetto esteriore. A cominciare dal menu della 'piccola cucina', come suggerisce l'insegna del locale. Pensato e realizzato dalla solare chef nonché padrona di casa Rosa Sapio, è una equilibrata e stagionale scelta tra primi, secondi e dolci cui si aggiungono diverse bruschette, taglieri di salumi e formaggio (dove  spiccano presidi Slow Food), ricche insalate e flan pensati per gli amanti del green e non solo. Il tutto, a prezzi equi. "La mia cucina risente dell'influsso dei miei genitori, uno calabrese e l'altro napoletano", racconta Rosa Sapio. La quale non 'nasce' chef, bensì - grazie anche alla passione per la cucina ereditata dalla madre - approda ai fornelli dopo aver a lungo lavorato in tutt'altro settore. Ama molto i sapori del meridione, Rosa. Nei suoi piatti - semplici, gustosi, generosi e preparati con cura - la chef abbina le basi e i profumi del sud a icone della cucina nordica come il risotto e i tortelli di zucca. Senza nascondere il suo amore per il pomodoro: "Mi piace in tutte le varianti e versioni, e qui da Viola lo uso molto e letteralmente 'in tutte le salse'", commenta la chef.
Particolare della sala
Il Bonet
Leggendo l'insegna, si presuppone che Viola non sia solo cucina. E infatti nel locale vino e cibo si spartiscono equamente la scena. "Il locale è nato nel 2002, noi siamo subentrati nella proprietà quattro anni fa. Prima del nostro arrivo, qui si serviva vino abbinato solo a taglieri", spiega Giorgio Gastone de Angelis, marito di Rosa Sapio. Sebbene come lei non sia 'del giro', ora anche lui è coinvolto a tempo pieno nel progetto Viola. "Per diversi anni ne siamo stati assidui clienti", ricorda. "Ai tempi, ogni volta che venivamo qui, mia moglie  io commentavamo quanto Viola fosse simile a ciò che sci sarebbe piaciuto fare. E ora, eccoci qua!". Se grazie al subentro di Rosa e Giorgio la cucina di Viola è ora tecnologica e attrezzata con forni, fuochi, sottovuoto, abbattitore ecc., anche l'enoteca ha ricevuto una spinta verso l'alto. E verso il nuovo: "Selezioniamo il vino insieme a Carlo Schettino, con l'intento di offrire bottiglie di eccellenza di quelle piccole cantine che hanno difficoltà ad arrivare in piazze come quella di Milano", specifica de Angelis. "Attualmente abbiamo in carta circa 120 etichette, una trentina delle quali anche a calice. Si tratta comunque di un numero destinato ad aumentare". In ogni caso, la scelta di Viola e non avere bottiglie a magazzino, il che consente di praticare prezzi più vantaggiosi per il consumatore. Viola - e di fatto Giorgio, per conto della sua insegna - non si limita a versare il vino nei bicchieri dei commensali e/o a vendere le bottiglie. Il suo obiettivo è contribuire alla crescita della conoscenza del mondo del vino, scegliendo le bottiglie per poi farle conoscere anche durante serate ad hoc; come quelle a cadenza mensile incentrate su una cantina, cui ne seguono poi altre quattro - una alla settimana - per i singoli vini della stessa cantina.
Le bruschette
A tutto questo si aggiungono altri eventi a tema, tra cui incontri destinati a un pubblico femminile, agli amanti della vela, agli appassionati delle 'cene con delitto' ecc. Così da aprire le porte a un pubblico vario e vasto che di giorno non comprenda solo chi lavora in ufficio e cerca un posto per un buon pranzo veloce, e di sera vada oltre 'i soliti' clienti. Bensì comprenda anche coloro che - e sono molti - frequentano il 'fuori casa' perché desiderano scoprire e imparare, oltre che divertirsi e sentirsi a proprio agio. E che proprio per questo ai locali alla moda preferiscono quelli sinceri, accoglienti e stimolanti.
Fiorenza Auriemma

lunedì 28 ottobre 2013

Apre a Vercelli Di.lab, gastronomia gluten free e gourmet


Le brioche senza glutine
Una gastronomia che quotidianamente prepara e offre pasti completi, dall’antipasto al dolce, compresi pasticcini e muffin per il tè, brioche per la colazione, focaccia bianca e al pomodoro. Con una precisa caratteristica: tutto è senza glutine, e con tanto di certificazione. Quindi su misura per i celiaci, ma non solo. Perché qualunque cosa nasca nelle spaziose cucine al primo piano di Di.lab – in via Veneto 3, nel centro di Vercelli – per essere poi messo in vendita nel negozio al piano terra e/o online, non ha niente da invidiare alle preparazioni ‘tradizionali’.
L’idea di dedicare uno spazio ad hoc per chi soffre di questo disturbo, è venuta ai tre fratelli Viazzo (Beppe, Nicola e Giulia, affiancati dalle consorti dei due fratelli), a capo della omonima azienda vercellese di famiglia – Riso Viazzo
Un piatto monoporzione
– leader nella trasformazione del riso parboiled. I quali già qualche mese fa avevano lanciato il Riso di Pasta, ovvero una linea di pasta prodotta a partire dai chicchi di riso parboiled molto simile alla tradizionale di grano duro e in grado di mantenere la cottura. Da lì, ecco l’idea di compiere il passo successivo, ovvero ristrutturare un edificio nel cuore di Vercelli per aprire pochi giorni fa Di.lab, mecca delle proposte senza glutine gourmet. Nonché spazio poliedrico. Presso Di.lab infatti non solo è possibile acquistare piatti take away gluten-free (in mono porzione, sigillati e pronti per essere rigenerati nel microonde o nel forno tradizionale), bensì anche seguire corsi di cucina di vario genere e tematiche (bambini compresi), così come ordinare pranzi e cene per più persone da consumare a casa propria, o ancora richiedere uno chef a domicilio per una serata a base di riso di pasta, riso, condimenti, carne, pesce, dolci ecc. per celiaci e per tutti i commensali. In altre parole, si tratta di un’iniziativa importante per togliere la celiachia dal ghetto di deprivazione e renderla ‘appetibile’ anche a coloro che semplicemente desiderano mangiare bene, buono e salutare.

La vetrinetta dei muffin
Finger food, Riso di Pasta con svariati condimenti, lasagne, cannelloni, risotti, branzino, salmone, orata, coniglio, vitello, tacchino, maiale, melanzane alla parmigiana, caponata, insalata di pollo, pane ecc. sono solo alcuni esempi in ‘carta’ a Di.lab. I cui prezzi vanno dai 5 euro circa per i primi ai 6/7.50 per i secondi. Ovviamente, in gastronomia è presente ogni giorno solo una selezione dei piatti, che si alternano quindi a rotazione. Ciò non toglie che tutti quelli inclusi nel menu possano essere ordinati in anticipo e nella quantità desiderata. Non da ultimo, per chi lavora e a pranzo preferisce non uscire e comunque consumare un pasto leggero e saporito, Di.lab prevede la consegna delle monoporzioni gluten free direttamente in ufficio.
A Vercelli, i Viazzo sono di casa, e per questo hanno scelto di inaugurare proprio lì la loro particolarissima gastronomia. L’intenzione è comunque aprire altri punti vendita Di.lab in diverse città, e di diventare un punto di riferimento – e di rifornimento – per  bar e ristoranti che – pur non essendo attrezzati per cucinare piatti senza glutine – vogliano comunque servire al meglio la propria clientela.
Fiorenza Auriemma




domenica 27 ottobre 2013

A Milano, Mamai prende il posto (e la benedizione) di Alice Ristorante


L'insegna di Mamai, in via Adige 9, Mi

Un ristorante che passa ‘il testimone’ nel pieno della sua brillante carriera, è cosa rara. E ancora più raro è il caso di Mamai, insegna che da un paio di settimane ha preso il posto di Alice Ristorante, in via Adige 9 a Milano. Perché Viviana Varese (chef) e Sandra Ciciriello (sommelier e maître) non si sono appunto limitate a passare le chiavi del locale ai due nuovi proprietari, ovvero Davide Viviani (chef) e Stefano Sardella (direttore). Al contrario: li hanno ospitati e instradati prima – in modo che vedessero dal vivo com’è il ‘giro’ – e poi li hanno accompagnati e sostenuti nelle prime settimane di apertura di Mamai, così da trasferire loro molte delle proprie capacità, esperienze, conoscenze ecc. In altre parole, si è trattato di un 'confluire' più che di un 'sostituire'. Facendo un paragone forse osé, viene da dire che quello di Davide e Stefano di Mamai è stato una sorta di ‘inserimento’, come avviene alla scuola materna. E con altrettanta amorevolezza. Il tutto però non toglie forza ai due nuovi proprietari dei locali ex-Alice. Caso mai ne aggiunge. Sia di forza sia di energia. Conoscendo Sandra e Viviana, c’era da aspettarselo: entrambe hanno generosità e umanità da vendere, oltre a tenere molto alla loro creatura Alice, lasciata per compiere il grande balzo che tra alcune settimane le incoronerà Regine del nuovo Eataly milanese di piazza XXV Aprile.
Chevice di Gamberi
Polpo e patate
La cucina di Davide e Stefano (che prima di diventarne i proprietari sono stati assidui clienti di Alice) è in divenire, ed è tutta da scoprire. Perché non vuole scimmiottare quella di Viviana e Sandra, bensì tenerne a cuore l’impronta prendendo però una strada propria. Quindi, chi fosse incuriosito e volesse sedersi ai tavoli di Mamai, lo faccia senza aspettarsi un Alice-bis. Bensì un locale nuovo con la peculiarità – e la fortuna – di avere alle spalle e a fianco un’insegna e un’anima importanti e speciali come quelle di Alice Ristorante.
Fiorenza Auriemma

martedì 15 ottobre 2013

Benvenuto a Pacari, cioccolato finissimo, biodinamico e democratico


Le tavolette Pacari

Una bella notizia sia per gli appassionati del cioccolato di qualità, sia per chi si sta avvicinando al magico mondo del fondente: da poche settimane è sbarcato in Italia Pacari, marchio ecuadoregno di tavolette che, una volta assaggiate, è davvero difficile scordare e/o lasciare. Non è però solo il palato a gioire per il nuovo ingresso. Infatti, questo cioccolato finissimo e artigianale nasce da fave di cacao coltivate in modo biodinamico, e con una modalità denominata ‘tree-to-bar’, ovvero ‘dall’albero alla tavoletta’. Ed è questo – anche – il punto di forza di Pacari (che per inciso in Sud America vuol dire ‘natura’ e/o ‘alba’): spezzare la catena che da secoli fa sì che i contadini coltivino le piante di cacao per poi vendere la materia prima all’estero dove viene trasformata in tavoletta, senza per altro tornare mai indietro. “Noi siamo ecuadoregni, e abbiamo a cuore i nostri prodotti e soprattutto la nostra gente”, racconta Santiago Peralta, che insieme alla moglie Carla Barboto dieci anni fa ha dato vita a questa azienda, e con le idee ben chiare circda gli obiettivi. “Le piantagioni sono di proprietà dei contadini che possono decidere a chi vendere il cacao. Se scelgono di darlo a Pacari è perché li paghiamo di più e facciamo in modo che vedano ciò che avviene con e grazie al loro cacao. Diamo lavoro a moltissimi contadini, andando anche incontro alle loro necessità per migliorare la produzione e anche la qualità della vita.
Premiazione a Manhattan, con Peralta al centro
Ma è tutto qui: anche se può sembrare impossibile, molte famiglia di contadini che da cinque generazioni producono cacao non avevamo di fatto mai assaggiato il prodotto finale, cioè il cioccolato. Come se i contadini che da noi coltivano grano e riso non avessero mai mangiato un piatto di maccheroni o un risotto. Davvero difficile da immaginare. Mentre in Ecuador e non solo è realtà. Ora, invece, i campesinos che lavorano per Pacari sono orgogliosi di quanto nasce attraverso il loro lavoro, e che possono vedere, toccare e mangiare. Così come lo sono anche dei numerosi premi che negli ultimi anni le tavolette Pacari - il cui logo stilizzato è un simbolo antico che rappresenta lunione simbiotica ed equilibrata tra uomo e natura hanno ricevuto. Non ultime, le nove medaglie collezionate ai primi di ottobre a Manhattan durante lAmericas Round of The International Chocolate Awards. Con gli agricoltori che lavorano per noi abbiamo iniziato una scuola di formazione permanente che ha come fulcro la produzione biodinamica, spiega Peralta. Pacari compra il 30% della produzione ecuadoregna di cacao, e questo fa sì che i contadini siano invogliati a mantenere le piantagioni di cacao e non convertirle in soia, palma ecc. Il nostro obiettivo e anche conservare la grande tradizione ecuadoregna del cacao, perché è qui che ha sede il 70% della banca genetica di cacao mondiale.
Una delle tavolette portabandiera
Se a tutto questo si aggiunge che – come detto sopra – il cioccolato Pacari è più che buono, il cerchio si chiude: una modalità sostenibile e sensata di lavorare permette di produrre un alimento che fa bene sia a chi a monte ne rende possibile l’esistenza, sia a chi a valle lo consuma. Ovviamente, questo ha un prezzo, ed è giusto che sia così. Le sedici diverse tavolette Pacari – tutte monorigine, alcune arricchite con essenze, frutti e/o sale, provenienti dal Sud America, e distribuite in Italia da JoyFlor , anche come materia prima per pasticceri e cioccolatieri -  sono in vendita a un prezzo maggiore della media, ovvero da 4,5 a 7 euro. “Abbiamo voluto portare un grande cambiamento nel concetto di caro’”, chiarisce Peralta. Perché non si può pagare poco il cioccolato se dietro a tutto questo c'è una moderna schiavitù”.  
Fiorenza Auriemma

mercoledì 2 ottobre 2013

Il giovane Canzian passa da Il Marchesino al suo Daniel

Daniel Canzian e la brigata al lavoro
Metti una sera a cena da Daniel - il nuovissimo locale milanese dello chef Daniel Canzian - serviti da cuochi con tanto di giacca impeccabile, grembiule candido e classica toque. Sono in quattro a occuparsi della sala e dei clienti, mentre altri sei colleghi - vestiti in modo identico - vicino alla cucina si muovono come danzando attorno a una grande bancone a vista sul quale i piatti vengono ultimati prima di essere portati in tavola. Al piacere di essere accuditi da addetti ai lavori - in grado quindi di spiegare i piatti ed esaudire le curiosità dei commensali più pignoli e curiosi - si aggiunge il fatto che i piatti firmati Canzian sono all'altezza delle aspettative. È una cucina sobria ed elegante al tempo stesso, la sua. Nella quale si trovano profonde tracce del suo intenso percorso professionale: a soli 33 anni, Canzian può vantare una collaborazione settennale con e per conto di Gualtiero Marchesi, che cinque anni fa lo aveva chiamato a dirigere le cucine del suo Il Marchesino, in Piazza della Scala a Milano. "Ho imparato molto dal Maestro Marchesi. Ma ora sento il bisogno di nuovi stimoli". Spiega così la sua scelta di aprire Daniel: la risposta il bisogno di camminare da solo, mettersi alla prova, guardare oltre l'orizzonte conosciuto. Scelta coraggiosa, ancora di più di questi tempi. Canzian però ha molta fiducia in quella che - pur essendo veneto, come tradisce l'accento - considera e sente oramai come la 'sua Milano'. "Ritengo che in Italia sia una delle città più vive e generose per chi vuole lavorare. E poi, sinceramente, dopo cinque anni che ci vivo devo ammettere di essermi innamorato di Milano".

Minestrone alla milanese
Speriamo ora che Milano ricambi, innamorandosi a sua volta di questo giovane e ambizioso 'cuoco' - termine che Canzian preferisce a il gettonatissimo 'chef' - e rendendo onore alla sua volontà di farsi strada da solo. Le prerogative ci sono tutte: il ristorante Daniel - che apriraà al pubblico lunedì 7 ottobre - si trova in fondo a via San Marco, all'angolo con Castelfidardo (per i meno giovani: negli stessi spazi che negli anni '70 ospitarono il centro culturale Macondo di Mauro Rostagno), e quindi in una zona centrale che sta vivendo una seconda primavera grazie ai nuovi grattacieli di Garibaldi; come la cucina, il locale è sobrio ed elegante e all'insegna dei colori grigio, giallo e blu tanto amati da Giò Ponti. Del servizio ho già detto. Aggiungo che mentre il menu della sera è alla carta, scandito e servito in modo classico (compresa le tovaglie), quello del pranzo vuole essere all'insegna della 'sana velocità', ovvero presentato su tovagliette all'americana e composto principalmente da piatti unici che variano ogni giorno, in base a ciò che offre il mercato. Altra informazione interessante: è previsto un lungo 'tavolo dello chef' per chi va di fretta e/o è solo: posizionato proprio di fronte alla zona a vista della cucina, qui verrà servito quello che i cuochi stanno spadellando al momento.  A questo tavolo non si ordina, quindi: ci si affida alla 'casa'. Che - che stando a quanto servito nella degustazione riservata alla stampa - difficilmente deluderà: a cominciare dalla Capasanta con crema di ricotta di bufala e funghi, passando per l'eccellente Minestrone alla milanese - con verdure, pasta integrale, crostini di pane serviti a secco e bagnati direttamente nel piatto con brodo vegetale e acqua di pomodoro - fino al delizioso dessert a base di panna cotta, crema di melagrana e sorbetto al dragoncello.
Fiorenza Auriemma

venerdì 27 settembre 2013

La Taste di Seregno, ottimo esempio di 'Bistromania'




I tavolini
L'angolo delle spezie
 In pieno centro di Seregno, nel cuore della Brianza lombarda, da un paio di anni una vecchia casa con la 'corte' - tipica dell'architettura lombarda - è rinata a nuova vita. Grazie all'audace progetto battezzato La Taste. Una 'Bistronomia pret à porter', ovvero un bistrot-market-caffetteria-gastronomia-luogo per eventi, scambi, incontri. In altre parole, una moderna agorà dove cibo, bevande, conoscenza e vita si incontrano, si intrecciano, si intersecano. Tutto questo, a una mezz'ora di auto da Milano. Viene però da pensare che sarebbe bello averlo anche a Milano, un posto così. Che non punta tanto a essere alla moda, edonistico, trendy ecc., quanto a coniugare i bisogni più antichi dell'uomo - mangiare, bere, incontrarsi, dialogare, rilassarsi, divertirsi ecc. ecc. - con le sue possibilità-conoscenze-esigenze attuali. In altre parole, a La Taste ci si sente a casa: una casa luminosa (grazie al grande lucernario ricavato nella struttura che chiude quella che una volta era la 'corte' della casa) da spartire con altro e altri. Nel primo caso, con i prodotti serviti ai tavoli, sugli scaffali, al bancone del bar e della gastronomia; nel secondo, con i padroni di casa. Primo fra tutti, il giovanissimo 'papà' di La Taste, Riccardo Migliavada, 26 anni, una laurea all'Università di Scienze Gastronomiche e una concreta competenza circa la materia che tratta e l'obiettivo che si è posto:  "Ho scelto di aprire a Seregno perché conosco la zona, nella quale non c'era nulla di simile", spiega Migliavada. Aggiungendo che il criterio principale per scegliere i prodotti in vendita è l'assaggio. È così infatti che vengono selezionati formaggi,  salumi 'firmati' (tra l'altro Marco d'Oggiono e Giancarlo Tanara), pasta di Gragnano (anche per celiaci), riso di produttori selezionati, sottolio, pane del monzese Davide Longoni, tè e tisane, sale e spezie sfusi ecc. (mancano ancora frutta e verdura, che però sono in dirittura di arrivo). "Vogliamo comunque offrire una gamma di prodotti ampia anche nel prezzo", precisa Migliavada. Che poco alla vota sta riuscendo nell'intento di fare cultura gastronomica anche in una zona piuttosto tradizionale: "Quando abbiamo aperto, l'enoteca conteneva etichette note che poi, piano piano, ho sostituito con altre di produttori più piccoli e meno conosciuti". Un criterio analogo vale anche per lo scaffale delle birre, dove troneggia Baladin a fianco di altre bottiglie di piccole realtà solo italiane.  
Gnocchi di coda di rospo
La Taste è anche la cucina dello chef Pietro Curti: chi lo desidera, a pranzo e cena può sedersi nella zona dei tavolini e sedie bianchi, e scegliere tra i piatti in carta (che cambia stagionalmente) cui se ne aggiungo altri - a rotazione giornaliera - a pranzo. I prezzi non sono da ristorante gourmet  né da bar-tavola calda: tra i 10 e i 20 euro, sono una giusta via di mezzo. Giusta perché le materie prime sono di ottima qualità, e le preparazioni intriganti. Come nel caso degli Gnocchi di coda di rospo con pomodori confit e burro allo zenzero; dei Ravioli di patate, brunoise di verdure, parmigiano e tartufo scorzone di Fragno; dell'Hamburger di pesce in un involucro di pane sempre firmato da Davide Longoni.
La zona centrale, con caffetteria e gastronomia
Last but not least, La Taste è anche book crossing per gli amanti dei libri, e wi-fi per chi vuole fermarsi a lavorare seduto al tavolo bevendo un tè o un calice di vino. Oltre a ospitare eventi culturali e musicali, raccolte di oggetti e abiti di design, e mostre di quadri che cambiano ogni mese, ci sono il mercato del vintage la prima domenica del mese e quello a filiera corta con frutta, verdura, formaggi e salumi ogni sabato; a tutto questo si aggiunge - a partire dal mese di ottobre - una serie di lezioni di cucina a cura dello chef Marco Canevari. 
Ecco perché continuo a pensare che un posto così ci vorrebbe anche a Milano.
Fiorenza Auriemma






lunedì 15 luglio 2013

Blend 4: un bel mix di vino, cucina e cultura

Non sapete dove sia Azzate? Tranquilli: siete in buona, anzi ottima compagnia. Questo paese a pochi chilometri da Varese non è certo quel che si suol dire un luogo trendy né modaiolo. Nonostante ciò - o forse proprio per questo - è interessante e stimolante che Blend 4 sia nato proprio qui. Perché non è vero che tutto debba sempre e per forza succedere nelle grandi città. Per Luca Martini, Milena Maesani, Ivano Antonini e Luigina Gazzola (da qui il nome del locale: Blend 4) la scelta di far uscire il proprio sogno dal cassetto ad Azzate, in via Piave 118, tel.   0332 457632, non cambia - anzi, caso mai rende ancora più intrigante - il senso del progetto: dar vita in un luogo, lontano dai circuiti più gettonati, a un 'eno-kalo-ristorante'. La definizione è degli stessi proprietari: leggi, 'un luogo dove il bello e il buono s'innamorano l'uno dell'altro'. Anche questo claim è farina del loro sacco. Come lo è ovviamente l'idea. Per i non addetti ai lavori, è bene precisare che Luca Martini è il Miglior Sommelier del Mondo WSA 2013, nonché gettonatissimo consulente per importanti etichette; che Ivano Antonini- detto 'Enocentrico' - è stato eletto qualche anno fa Miglior Sommelier della Lombardia e ha lavorato tra l'altro al Sole di Ranco; che Milena Maesani - art director del locale, nel quale ha trascorso gli ultimi otto mesi per recuperare, sistemare, decorare, sovrintendere (vedi alcune foto) - ha lavorato al recupero della Galleria Vittorio Emanuele di Milano; che Luigina Cazzola - cui è affidata la direzione della sala e il management aziendale - ha collezionato esperienze in wine bar, ristoranti stellati, banchettistica. E che - last but not least - Luca e Milena sono una coppia, e lo stesso vale per Ivano e Luigina.
Da sinistra: Luca, Ivano, Luigina e Milena
La grotta di affinamento
La sera dell'inaugurazione, il 13 luglio 2013
Insomma, quattro persone e personalità di spicco che hanno deciso di investire denaro, tempo e professionalità per dar vita a un nuovo concetto di locale, dove si beve e si mangia, of course, però si parla anche di arte, si ascolta musica, si fa 'cultura'. "Al Blend 4 l'imperativo è ricercare l'arte del gusto, l'arte nel gusto. per questo, la nostra cantina avrà sempre sorprese per tutti", annuncia Luca. Una bella sorpresa c'è già: proprio dietro la sala-enoteca dove troneggia un grande, lungo tavolo per le degustazioni, l'occhio è attirato da una piccola grotta a vista. "Esisteva già nel precedente locale (che per la cronaca si chiamava Trattoria del Montallegro, cui è succeduto poi un bar n.d.r.), noi l'abbiamo risanata e rifatto il pavimento", racconta Milena. Ed è qui, in questa magica alcova dove vengono affinati i salumi toscani, tra i punti di forza gastronomici di Blend 4. Che ha scelto la cucina della regione di provenienza di Luca (aretino di nascita) come faro culinario. Affidando a un giovanissimo ma già collaudato chef - Alessio Cascino, 21 anni, nel carnet l'Hotel Bulgari di Milano, l'Atelier Etoile de Joel Robuchon a Parigi e il Ristorante Maffei a Verona - il compito di guidare una brigata di otto persone: "Lavorare al fianco di due mostri sacri della sommelerie? È un grande stimolo. Quando mi hanno chiamato, non ci ho pensato due volte", dice Alessio. Il quale sa bene che il suo compito non sarà facile: coniugare prodotti e piatti tradizionalissimi e toscani (Pappa al pomodoro, Panzanella, Trippa sul panino, Bistecca Fiorentina ecc.) alla creatività e alla voglia di andare oltre (Ricciola agli agrumi, sedano candito e pesche su ricordi di Pantelleria, Spaghetti in crema di pomodori infusi, Caprino e zeste di limone ecc). Questo un esempio di ciò che è in carta, tanto per cominciare. Perché il locale, inaugurato il 13 luglio e aperto al pubblico il giorno dopo, nelle intenzioni dei quattro fondatori vuole essere in continua evoluzione. Per cui, non saranno solo offerta enologica e gastronomica a crescere, bensì anche le occasioni culturali, musicali e artistiche. Per ora, si apre al mattino alle 11 con il panino col lampredotto (scordatevi cappuccio e cornetto, qui). E poi si prosegue a pranzo (dove si può mangiare con 20 euro), aperitivo e cena (prezzo medio, 40-45 euro). Il tutto, sette giorni su sette. Che dire? Un bell'impegno. E un bel progetto. Frutto del blend di quattro professionalità, e di altrettanti cuori, spiriti, energie ed entusiasmi.
Ps: in attesa che parta il sito, trovate info e foto qui.
Fiorenza Auriemma

sabato 6 luglio 2013

Chumpol Jangprai e la danza Thai di sapori e gesti







Chumpol Jangprai al lavoro
Metti uno chef tailandese dal nome giustamente difficile da memorizzare, Chumpol Jangprai. E metti che, mentre da Bangkok è in viaggio per Vienna, accetti di venire gentilmente intercettato per una sosta a Milano. E metti infine che - oltre a una serata dedicata alla stampa e  a 4 mani con lo chef Luigi Taglienti presso il Caffé Trussardi - dedichi una generosa fetta del suo tempo e della sua disponibilità per condividere parte della propria arte con i colleghi italiani. Ecco che ciò che ne esce è una piacevole, gustosa e speziata lezione presso Convivium Lab-Arte del Convivio. Presenti, protagonisti di spicco della scena gastronomica meneghina e lombarda come Luigi Taglienti, Claudio Sadler, Mattias Perdomo, Alessandro Negrini, Fabrizio Ferrari, Alice Delcourt, Matteo Baronetto. Più i padroni di casa, Paolo Marchi di Identità Golose e qualche 'addetto ai lavoro'.
Ossobuco versione Thai
Foie Gras con Mee-Krob Thai
"La cucina tailandese e la cucina italiana hanno diverse cose in comune", afferma Jangprai. "Ad esempio, sono entrambe considerate le quinte al mondo, e usano molti ingredienti freschi". Ed entrambe vivono e palpitano mentre vengono preparate, aggiungo io. Le similitudini però, almeno a mio modesto parere, finiscono qua. Perché a me sembra che quella tailandese sia una cucina danzata, dove sul palcoscenico si muovono con grazia e abilità sapori, manualità, aromi, dolce, assaggi, salato, cotture, piccante ecc. Insomma, un balletto cui sarebbe bello assistere seduti in poltrona in terza fila. Non più vicino di così, per avere una migliore visione d'insieme. E non più lontano, per non perdere la magia dei gesti, i profumi delle spezie, la ritualità delle movenze. Ebbene, vedere venerdì 5 luglio danzare per oltre tre ore Jangprai è stato puro piacere, per lo spirito e per il palato. Tre i piatti nel menu offerto e spiegato da questo chef che alla sua tradizione aggiunge ingredienti nostrani (e non solo):  Fois gras saltato al lemongrass, Mee-Krob Thai (ovvero vermicelli di riso) con riduzione dolce di tamarindo e pasticcio caramellato alle spezie; Merluzzo atlantico grigliato, tartufo nero estivo, riduzione di Tom Kha (una zuppa tipica thai) e purea di zucca speziata con basilico; Thai mango sticky rice e panna cotta al gelsomino con lemongrass. Più una deliziosa e graditissima sorpresa, ovvero l'Ossobuco in versione Thai, con salsa rossa al curry. Quasi meglio di quello tradizionale, verrebbe da dire.

Merluzzo, Tom Kha, tartufo nero
Generoso lo chef, che senza intervalli ha cucinato, spiegato, sorriso, diretto i suoi assistenti. E ricca la sua storia: nato nel 1973, ha iniziato a 13 anni a lavorare a Bangkok nel ristorante di famiglia, per poi non ancora ventenne fare le valigie per venire in Europa e 'imparare' quello che la cucina del suo Paese - che come la nostra cambia a seconda dei punti cardinali del Paese, ed è frutto di antiche contaminazioni tra le tradizioni indiane e cinesi - non gli potevano insegnare. Per allargare orizzonti già più che vasti, insomma. Diventato corporate chef di Blue Elephant worlwide, nel 2002 rientra in patria per aprire la Blue Elephan Cooking School. Nessuna meraviglia quindi se solo un anno dopo la rivista internazionale Saveur lo elegge 'Best Jung Chef in Bagkok in Traditional and Innovation Food'. Vedendolo danzare oggi, non stupisce nemmeno che sia considerato l'Iron Chef della cucina thai: non si risparmia, non mostra segni di stanchezza, sa come muoversi. E, last but not least, cucina molto bene: il suo Ossobuco - è bene ribadirlo - viene accolto con una standing ovation e la richiesta di bis da parte di tutti i commensali. E la voglia di saperne - e assaggiarne - di più della straordinaria cucina Thai.
Fiorenza Auriemma