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mercoledì 30 ottobre 2013

Buone Forchette per Ail: quando il cibo fa davvero bene alla salute



La locandina dell'iniziativa
A Milano, nei prossimi quattro mesi scegliere di mangiare in un ristorante di qualità potrà far rima con ‘possibilità’. Di fare ricerca in campo medico, e quindi in futuro di curare. Questo grazie all’iniziativa - sapientemente battezzata Buone Forchette per Ail - che prende il via lunedì 4 novembre per chiudersi venerdì 28 febbraio. L’idea - frutto della collaborazione tra Ail (Associazione italiana contro le leucemie), Identità Golose e una trentina fra i ‘top’ di Milano - è semplice geniale al tempo stesso: io vado a pranzo o a cena in un ristorante, e al momento di pagare ‘lascio’ da un minimo di 2 a un massimo non specificato di euro in più rispetto al conto. Non come mancia, ben inteso. Bensì come contributo – con tanto di ricevuta che attesta la donazione - per raccogliere le risorse necessarie ad avviare una importante ricerca in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano. Non è questa la sede per specificare meglio di che ricerca si tratta. Chi volesse saperne di più, trova tutto qui. Quel che conta in questo luogo è cercare di spiegare l’essenza dell’idea e del gesto che le ‘buone forchette’ hanno l’occasione di compiere: mangiare bene traendone vantaggio per il proprio benessere, pagando tutto questo qualche euro di più in modo che un domani qualcuno altro possa guarire anche grazie a quel gesto. Bello, no? Soprattutto in questo periodo che vede la sanità e la ricerca costrette a stringere sempre di più la cinghia, ecco un modo come un altro per ringraziare la vita di essere in salute e poter godere della buona cucina, ricambiando la ‘gentilezza’ a distanza e in modo anonimo ma consapevole.
La stampa di Biscalchin
Alcuni tra gli chef coinvolti
Questa la lista dei locali che hanno accettato di fare da tramite per questa particolare raccolta di fondi: Al Mercato, Al V Piano, Blu, Chick’n Quick, Cucina del Toro, D’O, Daniel, Dopolavoro Bicocca, Erba Brusca, Finger’s Garden, il Liberty, il Luogo di Aimo e Nadia, il Marchesino, Innocenti Evasioni, La Brisa, La Maniera di Carlo, Langosteria 10, Manna, Pane e Acqua, Pastamadre, Pescheria da Claudio, Pisacco, Ratanà, Refettorio, Sadler, Timè, Trattoria del Nuovo Macello, Trattoria Mirta, Turbigo, Wicky’s. Qui i rispettivi indirizzi e numeri di telefono.
C'è anche un altro modo per partecipare a questa campagna di raccolta pro Ail: donare almeno 25 euro attraverso i siti di Buone Forchette per Ail,  Ail Milano e Identità Golose, ricevendo in cambio una cascata di colori: ovvero una stampa - autenticata e a tiratura limitata - dell’opera originale “Buone Forchette” realizzata dall’illustratore Gianluca Biscalchin.
Fiorenza Auriemma




martedì 29 ottobre 2013

Viola Enoteca di Milano, un luogo che nutre e stimola

L'insegna
In città come Milano dove abbondano locali, ristoranti, bar, enoteche, bistrot, pub ecc., come scegliere un posto dove pranzare, cenare, bere un bicchiere di vino in compagnia? Un valido criterio può essere affidarsi al proprio istinto e puntare sulla corrispondenza tra 'l'abito' che il locale sfoggia, e ciò che entrando e guardandosi intorno si percepisce come la vera sua 'anima'. Più o meno come avviene con le persone, insomma. Con Viola Enoteca è andata così: il luogo fisico di via Pavia 6/2 - in una parte tranquilla della zona Navigli - è caldo, colorato e vivace quanto basta, accogliente e professionale, essenziale senza essere banale, per niente 'modaiolo; e la sua essenza coincide con questo aspetto esteriore. A cominciare dal menu della 'piccola cucina', come suggerisce l'insegna del locale. Pensato e realizzato dalla solare chef nonché padrona di casa Rosa Sapio, è una equilibrata e stagionale scelta tra primi, secondi e dolci cui si aggiungono diverse bruschette, taglieri di salumi e formaggio (dove  spiccano presidi Slow Food), ricche insalate e flan pensati per gli amanti del green e non solo. Il tutto, a prezzi equi. "La mia cucina risente dell'influsso dei miei genitori, uno calabrese e l'altro napoletano", racconta Rosa Sapio. La quale non 'nasce' chef, bensì - grazie anche alla passione per la cucina ereditata dalla madre - approda ai fornelli dopo aver a lungo lavorato in tutt'altro settore. Ama molto i sapori del meridione, Rosa. Nei suoi piatti - semplici, gustosi, generosi e preparati con cura - la chef abbina le basi e i profumi del sud a icone della cucina nordica come il risotto e i tortelli di zucca. Senza nascondere il suo amore per il pomodoro: "Mi piace in tutte le varianti e versioni, e qui da Viola lo uso molto e letteralmente 'in tutte le salse'", commenta la chef.
Particolare della sala
Il Bonet
Leggendo l'insegna, si presuppone che Viola non sia solo cucina. E infatti nel locale vino e cibo si spartiscono equamente la scena. "Il locale è nato nel 2002, noi siamo subentrati nella proprietà quattro anni fa. Prima del nostro arrivo, qui si serviva vino abbinato solo a taglieri", spiega Giorgio Gastone de Angelis, marito di Rosa Sapio. Sebbene come lei non sia 'del giro', ora anche lui è coinvolto a tempo pieno nel progetto Viola. "Per diversi anni ne siamo stati assidui clienti", ricorda. "Ai tempi, ogni volta che venivamo qui, mia moglie  io commentavamo quanto Viola fosse simile a ciò che sci sarebbe piaciuto fare. E ora, eccoci qua!". Se grazie al subentro di Rosa e Giorgio la cucina di Viola è ora tecnologica e attrezzata con forni, fuochi, sottovuoto, abbattitore ecc., anche l'enoteca ha ricevuto una spinta verso l'alto. E verso il nuovo: "Selezioniamo il vino insieme a Carlo Schettino, con l'intento di offrire bottiglie di eccellenza di quelle piccole cantine che hanno difficoltà ad arrivare in piazze come quella di Milano", specifica de Angelis. "Attualmente abbiamo in carta circa 120 etichette, una trentina delle quali anche a calice. Si tratta comunque di un numero destinato ad aumentare". In ogni caso, la scelta di Viola e non avere bottiglie a magazzino, il che consente di praticare prezzi più vantaggiosi per il consumatore. Viola - e di fatto Giorgio, per conto della sua insegna - non si limita a versare il vino nei bicchieri dei commensali e/o a vendere le bottiglie. Il suo obiettivo è contribuire alla crescita della conoscenza del mondo del vino, scegliendo le bottiglie per poi farle conoscere anche durante serate ad hoc; come quelle a cadenza mensile incentrate su una cantina, cui ne seguono poi altre quattro - una alla settimana - per i singoli vini della stessa cantina.
Le bruschette
A tutto questo si aggiungono altri eventi a tema, tra cui incontri destinati a un pubblico femminile, agli amanti della vela, agli appassionati delle 'cene con delitto' ecc. Così da aprire le porte a un pubblico vario e vasto che di giorno non comprenda solo chi lavora in ufficio e cerca un posto per un buon pranzo veloce, e di sera vada oltre 'i soliti' clienti. Bensì comprenda anche coloro che - e sono molti - frequentano il 'fuori casa' perché desiderano scoprire e imparare, oltre che divertirsi e sentirsi a proprio agio. E che proprio per questo ai locali alla moda preferiscono quelli sinceri, accoglienti e stimolanti.
Fiorenza Auriemma

lunedì 28 ottobre 2013

Apre a Vercelli Di.lab, gastronomia gluten free e gourmet


Le brioche senza glutine
Una gastronomia che quotidianamente prepara e offre pasti completi, dall’antipasto al dolce, compresi pasticcini e muffin per il tè, brioche per la colazione, focaccia bianca e al pomodoro. Con una precisa caratteristica: tutto è senza glutine, e con tanto di certificazione. Quindi su misura per i celiaci, ma non solo. Perché qualunque cosa nasca nelle spaziose cucine al primo piano di Di.lab – in via Veneto 3, nel centro di Vercelli – per essere poi messo in vendita nel negozio al piano terra e/o online, non ha niente da invidiare alle preparazioni ‘tradizionali’.
L’idea di dedicare uno spazio ad hoc per chi soffre di questo disturbo, è venuta ai tre fratelli Viazzo (Beppe, Nicola e Giulia, affiancati dalle consorti dei due fratelli), a capo della omonima azienda vercellese di famiglia – Riso Viazzo
Un piatto monoporzione
– leader nella trasformazione del riso parboiled. I quali già qualche mese fa avevano lanciato il Riso di Pasta, ovvero una linea di pasta prodotta a partire dai chicchi di riso parboiled molto simile alla tradizionale di grano duro e in grado di mantenere la cottura. Da lì, ecco l’idea di compiere il passo successivo, ovvero ristrutturare un edificio nel cuore di Vercelli per aprire pochi giorni fa Di.lab, mecca delle proposte senza glutine gourmet. Nonché spazio poliedrico. Presso Di.lab infatti non solo è possibile acquistare piatti take away gluten-free (in mono porzione, sigillati e pronti per essere rigenerati nel microonde o nel forno tradizionale), bensì anche seguire corsi di cucina di vario genere e tematiche (bambini compresi), così come ordinare pranzi e cene per più persone da consumare a casa propria, o ancora richiedere uno chef a domicilio per una serata a base di riso di pasta, riso, condimenti, carne, pesce, dolci ecc. per celiaci e per tutti i commensali. In altre parole, si tratta di un’iniziativa importante per togliere la celiachia dal ghetto di deprivazione e renderla ‘appetibile’ anche a coloro che semplicemente desiderano mangiare bene, buono e salutare.

La vetrinetta dei muffin
Finger food, Riso di Pasta con svariati condimenti, lasagne, cannelloni, risotti, branzino, salmone, orata, coniglio, vitello, tacchino, maiale, melanzane alla parmigiana, caponata, insalata di pollo, pane ecc. sono solo alcuni esempi in ‘carta’ a Di.lab. I cui prezzi vanno dai 5 euro circa per i primi ai 6/7.50 per i secondi. Ovviamente, in gastronomia è presente ogni giorno solo una selezione dei piatti, che si alternano quindi a rotazione. Ciò non toglie che tutti quelli inclusi nel menu possano essere ordinati in anticipo e nella quantità desiderata. Non da ultimo, per chi lavora e a pranzo preferisce non uscire e comunque consumare un pasto leggero e saporito, Di.lab prevede la consegna delle monoporzioni gluten free direttamente in ufficio.
A Vercelli, i Viazzo sono di casa, e per questo hanno scelto di inaugurare proprio lì la loro particolarissima gastronomia. L’intenzione è comunque aprire altri punti vendita Di.lab in diverse città, e di diventare un punto di riferimento – e di rifornimento – per  bar e ristoranti che – pur non essendo attrezzati per cucinare piatti senza glutine – vogliano comunque servire al meglio la propria clientela.
Fiorenza Auriemma




domenica 27 ottobre 2013

A Milano, Mamai prende il posto (e la benedizione) di Alice Ristorante


L'insegna di Mamai, in via Adige 9, Mi

Un ristorante che passa ‘il testimone’ nel pieno della sua brillante carriera, è cosa rara. E ancora più raro è il caso di Mamai, insegna che da un paio di settimane ha preso il posto di Alice Ristorante, in via Adige 9 a Milano. Perché Viviana Varese (chef) e Sandra Ciciriello (sommelier e maître) non si sono appunto limitate a passare le chiavi del locale ai due nuovi proprietari, ovvero Davide Viviani (chef) e Stefano Sardella (direttore). Al contrario: li hanno ospitati e instradati prima – in modo che vedessero dal vivo com’è il ‘giro’ – e poi li hanno accompagnati e sostenuti nelle prime settimane di apertura di Mamai, così da trasferire loro molte delle proprie capacità, esperienze, conoscenze ecc. In altre parole, si è trattato di un 'confluire' più che di un 'sostituire'. Facendo un paragone forse osé, viene da dire che quello di Davide e Stefano di Mamai è stato una sorta di ‘inserimento’, come avviene alla scuola materna. E con altrettanta amorevolezza. Il tutto però non toglie forza ai due nuovi proprietari dei locali ex-Alice. Caso mai ne aggiunge. Sia di forza sia di energia. Conoscendo Sandra e Viviana, c’era da aspettarselo: entrambe hanno generosità e umanità da vendere, oltre a tenere molto alla loro creatura Alice, lasciata per compiere il grande balzo che tra alcune settimane le incoronerà Regine del nuovo Eataly milanese di piazza XXV Aprile.
Chevice di Gamberi
Polpo e patate
La cucina di Davide e Stefano (che prima di diventarne i proprietari sono stati assidui clienti di Alice) è in divenire, ed è tutta da scoprire. Perché non vuole scimmiottare quella di Viviana e Sandra, bensì tenerne a cuore l’impronta prendendo però una strada propria. Quindi, chi fosse incuriosito e volesse sedersi ai tavoli di Mamai, lo faccia senza aspettarsi un Alice-bis. Bensì un locale nuovo con la peculiarità – e la fortuna – di avere alle spalle e a fianco un’insegna e un’anima importanti e speciali come quelle di Alice Ristorante.
Fiorenza Auriemma

martedì 15 ottobre 2013

Benvenuto a Pacari, cioccolato finissimo, biodinamico e democratico


Le tavolette Pacari

Una bella notizia sia per gli appassionati del cioccolato di qualità, sia per chi si sta avvicinando al magico mondo del fondente: da poche settimane è sbarcato in Italia Pacari, marchio ecuadoregno di tavolette che, una volta assaggiate, è davvero difficile scordare e/o lasciare. Non è però solo il palato a gioire per il nuovo ingresso. Infatti, questo cioccolato finissimo e artigianale nasce da fave di cacao coltivate in modo biodinamico, e con una modalità denominata ‘tree-to-bar’, ovvero ‘dall’albero alla tavoletta’. Ed è questo – anche – il punto di forza di Pacari (che per inciso in Sud America vuol dire ‘natura’ e/o ‘alba’): spezzare la catena che da secoli fa sì che i contadini coltivino le piante di cacao per poi vendere la materia prima all’estero dove viene trasformata in tavoletta, senza per altro tornare mai indietro. “Noi siamo ecuadoregni, e abbiamo a cuore i nostri prodotti e soprattutto la nostra gente”, racconta Santiago Peralta, che insieme alla moglie Carla Barboto dieci anni fa ha dato vita a questa azienda, e con le idee ben chiare circda gli obiettivi. “Le piantagioni sono di proprietà dei contadini che possono decidere a chi vendere il cacao. Se scelgono di darlo a Pacari è perché li paghiamo di più e facciamo in modo che vedano ciò che avviene con e grazie al loro cacao. Diamo lavoro a moltissimi contadini, andando anche incontro alle loro necessità per migliorare la produzione e anche la qualità della vita.
Premiazione a Manhattan, con Peralta al centro
Ma è tutto qui: anche se può sembrare impossibile, molte famiglia di contadini che da cinque generazioni producono cacao non avevamo di fatto mai assaggiato il prodotto finale, cioè il cioccolato. Come se i contadini che da noi coltivano grano e riso non avessero mai mangiato un piatto di maccheroni o un risotto. Davvero difficile da immaginare. Mentre in Ecuador e non solo è realtà. Ora, invece, i campesinos che lavorano per Pacari sono orgogliosi di quanto nasce attraverso il loro lavoro, e che possono vedere, toccare e mangiare. Così come lo sono anche dei numerosi premi che negli ultimi anni le tavolette Pacari - il cui logo stilizzato è un simbolo antico che rappresenta lunione simbiotica ed equilibrata tra uomo e natura hanno ricevuto. Non ultime, le nove medaglie collezionate ai primi di ottobre a Manhattan durante lAmericas Round of The International Chocolate Awards. Con gli agricoltori che lavorano per noi abbiamo iniziato una scuola di formazione permanente che ha come fulcro la produzione biodinamica, spiega Peralta. Pacari compra il 30% della produzione ecuadoregna di cacao, e questo fa sì che i contadini siano invogliati a mantenere le piantagioni di cacao e non convertirle in soia, palma ecc. Il nostro obiettivo e anche conservare la grande tradizione ecuadoregna del cacao, perché è qui che ha sede il 70% della banca genetica di cacao mondiale.
Una delle tavolette portabandiera
Se a tutto questo si aggiunge che – come detto sopra – il cioccolato Pacari è più che buono, il cerchio si chiude: una modalità sostenibile e sensata di lavorare permette di produrre un alimento che fa bene sia a chi a monte ne rende possibile l’esistenza, sia a chi a valle lo consuma. Ovviamente, questo ha un prezzo, ed è giusto che sia così. Le sedici diverse tavolette Pacari – tutte monorigine, alcune arricchite con essenze, frutti e/o sale, provenienti dal Sud America, e distribuite in Italia da JoyFlor , anche come materia prima per pasticceri e cioccolatieri -  sono in vendita a un prezzo maggiore della media, ovvero da 4,5 a 7 euro. “Abbiamo voluto portare un grande cambiamento nel concetto di caro’”, chiarisce Peralta. Perché non si può pagare poco il cioccolato se dietro a tutto questo c'è una moderna schiavitù”.  
Fiorenza Auriemma

mercoledì 2 ottobre 2013

Il giovane Canzian passa da Il Marchesino al suo Daniel

Daniel Canzian e la brigata al lavoro
Metti una sera a cena da Daniel - il nuovissimo locale milanese dello chef Daniel Canzian - serviti da cuochi con tanto di giacca impeccabile, grembiule candido e classica toque. Sono in quattro a occuparsi della sala e dei clienti, mentre altri sei colleghi - vestiti in modo identico - vicino alla cucina si muovono come danzando attorno a una grande bancone a vista sul quale i piatti vengono ultimati prima di essere portati in tavola. Al piacere di essere accuditi da addetti ai lavori - in grado quindi di spiegare i piatti ed esaudire le curiosità dei commensali più pignoli e curiosi - si aggiunge il fatto che i piatti firmati Canzian sono all'altezza delle aspettative. È una cucina sobria ed elegante al tempo stesso, la sua. Nella quale si trovano profonde tracce del suo intenso percorso professionale: a soli 33 anni, Canzian può vantare una collaborazione settennale con e per conto di Gualtiero Marchesi, che cinque anni fa lo aveva chiamato a dirigere le cucine del suo Il Marchesino, in Piazza della Scala a Milano. "Ho imparato molto dal Maestro Marchesi. Ma ora sento il bisogno di nuovi stimoli". Spiega così la sua scelta di aprire Daniel: la risposta il bisogno di camminare da solo, mettersi alla prova, guardare oltre l'orizzonte conosciuto. Scelta coraggiosa, ancora di più di questi tempi. Canzian però ha molta fiducia in quella che - pur essendo veneto, come tradisce l'accento - considera e sente oramai come la 'sua Milano'. "Ritengo che in Italia sia una delle città più vive e generose per chi vuole lavorare. E poi, sinceramente, dopo cinque anni che ci vivo devo ammettere di essermi innamorato di Milano".

Minestrone alla milanese
Speriamo ora che Milano ricambi, innamorandosi a sua volta di questo giovane e ambizioso 'cuoco' - termine che Canzian preferisce a il gettonatissimo 'chef' - e rendendo onore alla sua volontà di farsi strada da solo. Le prerogative ci sono tutte: il ristorante Daniel - che apriraà al pubblico lunedì 7 ottobre - si trova in fondo a via San Marco, all'angolo con Castelfidardo (per i meno giovani: negli stessi spazi che negli anni '70 ospitarono il centro culturale Macondo di Mauro Rostagno), e quindi in una zona centrale che sta vivendo una seconda primavera grazie ai nuovi grattacieli di Garibaldi; come la cucina, il locale è sobrio ed elegante e all'insegna dei colori grigio, giallo e blu tanto amati da Giò Ponti. Del servizio ho già detto. Aggiungo che mentre il menu della sera è alla carta, scandito e servito in modo classico (compresa le tovaglie), quello del pranzo vuole essere all'insegna della 'sana velocità', ovvero presentato su tovagliette all'americana e composto principalmente da piatti unici che variano ogni giorno, in base a ciò che offre il mercato. Altra informazione interessante: è previsto un lungo 'tavolo dello chef' per chi va di fretta e/o è solo: posizionato proprio di fronte alla zona a vista della cucina, qui verrà servito quello che i cuochi stanno spadellando al momento.  A questo tavolo non si ordina, quindi: ci si affida alla 'casa'. Che - che stando a quanto servito nella degustazione riservata alla stampa - difficilmente deluderà: a cominciare dalla Capasanta con crema di ricotta di bufala e funghi, passando per l'eccellente Minestrone alla milanese - con verdure, pasta integrale, crostini di pane serviti a secco e bagnati direttamente nel piatto con brodo vegetale e acqua di pomodoro - fino al delizioso dessert a base di panna cotta, crema di melagrana e sorbetto al dragoncello.
Fiorenza Auriemma