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domenica 21 febbraio 2010

Prove tecniche di integrazione

Che via Padova, a Milano, sia una realtà complessa e ingombrante, è fuori discussione. Però, credo valga la pena di focalizzare l'attenzione anche su altri aspetti che hanno a che fare con la presenza di extracomunitari in questo nostro Paese, sempre più stanco e ottuso. Ecco cos'è accaduto a me, ieri mattina poco prima delle 8. Ogni sabato, esco di casa presto per andare a correre. Per per poterlo fare però devo prima percorrere una decina di km in auto, che ieri, ahimè, si rifiuta di mettersi in moto: la batteria! penso subito. E adesso? Il mio meccanico di sabato è chiuso. Chiedo alla portinaia di casa mia se ha i cavi per la "rianimazione" e se ha voglia di darmi una mano a far partire la mia carrozza di lamiera. Li troviamo subito nel bagagliaio della sua auto, ma non riusciamo ad aprirne il cofano. Di nuovo, che fare? In quel momento, arriva il ragazzo indiano che vende formaggi in un negozietto lì vicino: senza bisogno di chiederglielo, si offre di darci una mano a superare quest'altro intoppo, commentando con un sorriso: "Visto che a qualche cosa serviamo anche noi immigrati?". Risolto anche questo scoglio, affianchiamo le due auto, mentre il nostro soccorritore va incontro alla sua giornata di lavoro. Ma come collegare correttamente i cavi senza fare disastri? Nella città ancora sonnacchiosa, dal fondo del marciapiede deserto per fortuna vediamo spuntare un gruppetto di tre ragazzi, chiaramente non italiani. Uno di loro ci nota, si avvicina, si ferma, e ci dedica 20 minuti del suo tempo, con cortesia, senza mostrare presunzione o superiorità da "maschio", fino a quando mi rendo conto che guarda spesso l'orologio: deve andare a lavorare, e per lui si sta facendo tardi. Lo ringrazio, mi faccio spiegare come proseguire nel tentativo di respirazione "bocca a bocca" meccanica, e ci lasciamo con un altro sorriso. Finalmente l'auto riparte, evviva!, e così la posso portare fino dall'elettrauto che ha da poco alzato la saracinesca: è meridionale, nessun dubbio, e lavora in quel buchetto da anni insieme alla moglie e al figlio, io però non sono mai stata sua cliente. Sorridendo, mi dice che mentre io vado a casa a prendere i soldi, lui sistema la faccenda: tempo 5 minuti, e sono di ritorno, e il lavoro è già finito. Pago, ringrazio, sorrido (!) e faccio per uscire dall'officina, quando l'elettrauto mi insegue: "Signora, aspetti ad andare via. Apra il cofano che le faccio vedere che batteria le ho messo. E poi, non le ho ancora dato la ricevuta!". Sorrido, per l'ennesima volta in questa mattina di fine febbraio. E penso che senza queste tre persone (quattro: c'è la portinaia, anche lei del profondo sud nostrano), io, Milano e il mondo intero saremmo ben più poveri e tristi. Fiorenza

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