mercoledì 28 luglio 2010
Una Cuccagna per Milano
domenica 25 luglio 2010
Tra la vita e la morte c'è di mezzo la fatica
Strani tempi, quelli che stiamo vivendo. Da una parte, non si perde occasione per sottolineare la sacralità della vita, sempre e a tutti i costi, da quando ancora è in divenire fino a quando è sfatta, logorata dalla malattia e dipendente da fili tecnologici. E dall'altra, la si toglie agli altri e a se stessi, in modo diretto o indiretto, con una facilità sconcertante, e per i più svariati motivi: "amore", "passione" (entrambi rigorosamente tra virgolette, perché chi ama veramente e prova davvero passione, non uccide il soggetto che gli permette di provare sentimenti così intensi, anche se lo ha "perso"), gelosia, rabbia, paura, euforia, disperazione, frustrazione, delirio di onnipotenza, superficialità, incompetenza (vedi la recente tragedia di Duisburg). Insomma, si ammazza, si provoca la morte, ci si ammazza, si augura la morte, non si tiene in conto la morte, la si sfida e la si sottovaluta ecc., con una dimestichezza che cozza in modo strabiliante con la tenacia con cui si predica l'intoccabilità della vita. Che quella occidentale sia una società affetta da schizofrenia, è evidente. Però, la malattia a mio parere sta degenerando con una velocità da capogiro, ed è difficile capire quale cura o trattamento possa davvero risultare efficace, ammesso che si voglia effettivamente tentare un trattamento. Magari un pizzico di presunzione in meno e un po' più di accettazione che vita fa comunque rima con morte, che lo si voglia o no? O forse un'attenzione maggiore rivolta verso il proprio io, le proprie azioni e responsabilità, invece che addossare all'altro e/o alla società stessa anche le proprie fragilità e i propri limiti? E, già che ci siamo, rendersi conto che l'altro è un individuo diverso da sé e libero, e che non tutto si può prevedere, ma che proprio per questo, certe situazioni, manifestazioni, derive, occasioni, raduni ecc. andrebbero meditati, evitati, organizzati in modo differente ecc. Ma tutto ciò richiede umiltà, introspezione, modestia, consapevolezza. Tutte cose che fanno rima con fatica. Fiorenza
domenica 18 luglio 2010
Ghiotte meraviglie d'Abruzzo

Ma è stato proprio in occasione della presentazione in anteprima di Ekk a Milano che sono incappata in due bellissime realtà abruzzesi. La prima è il ristorante Il Capestrano, quasi nascosto in un angolo tranquillo e periferico della città lombarda, in zona via Ripamonti: è un locale molto gradevole e accattivante, con quattro sale, una cantina a vista, un loft che si trasforma in "temporary home" e una bellissima corte interna che può ospitare cene, banchetti e "sagre urbane" di tipico stampo abruzzese. Come del resto è abruzzese il menu del locale, ispirato alle ricette della "nonna", e anche il personaggio che ha reso possibile tutto questo, ovvero l'imprenditore Wladimiro (detto Roberto) Babbo, e tutti coloro che ci lavorano. In questo angolo di Abruzzo trapiantato a Milano, ho potuto prendere parte a una Panarda; ovvero, uno storico e impegnativo rito culinario e conviviale durante il quale vengono servite tra le 50 e le 60 portate. Questa imponente occasione gastronomica ha origini molto antiche, quando nel '500 permetteva ai ricchi di mostrare tutta la loro potenza offrendo un pranzo più che opulento, per festeggiare ad esempio la nascita di un figlio maschio o la sua partenza per militare. Ogni vivanda veniva introdotta da un colpo di cannone (sostituito oggi dal rullo di tamburo), mentre il banditore di mensa annunciava il piatto. E guai a quell'ospite che avesse osato alzarsi da tavola, o ancor peggio abbandonare prima della fine la pantagruelica cena: l'ospite l'avrebbe considerata un'offesa personale, e la sfortuna si sarebbe abbattuta sul fuggitivo; oltretutto, ci pensava un guardiano di mensa a controllare che tutti assaggiassero tutto e stessero al loro posto.
Be', è stata un'esperienza molto singolare partecipare a questo rito, riprodotto per l'occasione in una formula più "light" rispetto alla alla classica ma pur sempre con 60 assaggi. I quali sono stati preparati da vari chef abruzzesi - compreso quello de Il Capestrano - e serviti come da manuale con una precisa sequenza logica e di sapore. Anche perché nell'antichità le donne ne erano escluse: a loro spettava il lavoro in cucina, mentre agli uomini quello di far onore a tutto quel ben di Dio. Fiorenza
venerdì 9 luglio 2010
domenica 4 luglio 2010
Buon cibo e di buone "maniere"
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