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domenica 18 luglio 2010

Ghiotte meraviglie d'Abruzzo

Conosco molto poco l'Abruzzo, confesso. Ma più raccolgo informazioni sulle tradizioni e sull'attualità della regione, e più abruzzesi mi capita di incontrare e conoscere, più mi piace questo lembo di terra difficile e autentico. E lo stesso vale per i suoi abitanti, a cominciare dai coraggiosi aquilani. Ultima scoperta è un progetto molto impegnativo e interessante, dal nome Ekk (che in abruzzese vuol dire "eccolo", "l'ho fatto") che vedrà la luce all'inizio del prossimo autunno, e che vuole essere un punto di raccolta e di riferimento per i prodotti più autentici della regione: sta sorgendo a Città Sant'Angelo, in provincia di Pescara, in un'antica cantina restaurata; da un lato ospiterà i piccoli produttori con le loro specialità, e dall'altro i "forestieri" che le potranno conoscere, apprezzare, acquistare. Torneremo a parlarne in modo più particolareggiato quando verrà inaugurato.
Ma è stato proprio in occasione della presentazione in anteprima di Ekk a Milano che sono incappata in due bellissime realtà abruzzesi. La prima è il ristorante Il Capestrano, quasi nascosto in un angolo tranquillo e periferico della città lombarda, in zona via Ripamonti: è un locale molto gradevole e accattivante, con quattro sale, una cantina a vista, un loft che si trasforma in "temporary home" e una bellissima corte interna che può ospitare cene, banchetti e "sagre urbane" di tipico stampo abruzzese. Come del resto è abruzzese il menu del locale, ispirato alle ricette della "nonna", e anche il personaggio che ha reso possibile tutto questo, ovvero l'imprenditore Wladimiro (detto Roberto) Babbo, e tutti coloro che ci lavorano. In questo angolo di Abruzzo trapiantato a Milano, ho potuto prendere parte a una Panarda; ovvero, uno storico e impegnativo rito culinario e conviviale durante il quale vengono servite tra le 50 e le 60 portate. Questa imponente occasione gastronomica ha origini molto antiche, quando nel '500 permetteva ai ricchi di mostrare tutta la loro potenza offrendo un pranzo più che opulento, per festeggiare ad esempio la nascita di un figlio maschio o la sua partenza per militare. Ogni vivanda veniva introdotta da un colpo di cannone (sostituito oggi dal rullo di tamburo), mentre il banditore di mensa annunciava il piatto. E guai a quell'ospite che avesse osato alzarsi da tavola, o ancor peggio abbandonare prima della fine la pantagruelica cena: l'ospite l'avrebbe considerata un'offesa personale, e la sfortuna si sarebbe abbattuta sul fuggitivo; oltretutto, ci pensava un guardiano di mensa a controllare che tutti assaggiassero tutto e stessero al loro posto.
Be', è stata un'esperienza molto singolare partecipare a questo rito, riprodotto per l'occasione in una formula più "light" rispetto alla alla classica ma pur sempre con 60 assaggi. I quali sono stati preparati da vari chef abruzzesi - compreso quello de Il Capestrano - e serviti come da manuale con una precisa sequenza logica e di sapore. Anche perché nell'antichità le donne ne erano escluse: a loro spettava il lavoro in cucina, mentre agli uomini quello di far onore a tutto quel ben di Dio. Fiorenza

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