Più rifletto sui risultati delle consultazioni dello scorso fine settimana, più mi viene da pensare a un paragone forse irriverente però a mio avviso calzante: siamo un paese grondante di materie prime eccellenti, con una tradizione, una varietà e una cultura gastronomica che gran parte del mondo ci invidia. Eppure, ai piatti cucinati - anche in modo semplicissimo - preferiamo molto spesso i panini. Niente di personale contro questa categoria ben rappresentata nel panorama alimentare di gran parte del globo (proprio di recente, ho avuto nuovamente l'occasione di morderne alcuni di tutto rispetto, per così dire con il "pedigree"). Però, non posso fare a meno di pensare che anche un semplice piatto di pasta al pomodoro sia un'opzione migliore, sia per lo stomaco - parola di nutrizionisti - sia per il contorno, ovvero il rituale, l'impegno, il tempo, l'attenzione che richiede prepararlo e anche mangiarlo. Ma noi italiani, a quanto pare, cediamo più facilmente alle lusinghe imbottite che a quelle cucinate; zittiamo la fame ingurgitando un contenitore commestibile freddo - o tutt'al più riscaldato alla piastra - azzannandolo con tutto il suo contenuto spesso allettante nell'aspetto ma deludente nel sapore. E poi ci sentiamo sazi, soddisfatti, appagati e in più al passo con i tempi. E, già che ci siamo, anche furbi. Mettersi ai fornelli è roba d'altri lustri, costa tempo e fatica. E lasciare che sia qualcun altro a farlo per noi richiede la pazienza di aspettare, l'umiltà di affidarsi e la consapevolezza di dover poi pagare per quel gesto antico quanto il mondo. Meglio un panino, magari dal nome altisonante e intrigante: basta puntare il dito verso di esso, e il pranzo è servito, senza bisogno di metterci del proprio, di sperimentare, di sbagliare, di migliorare. Ma c'è anche un altro aspetto di questo parallelo postprandiale tra cibo e politica che non posso fare a meno di mettere nero su bianco. Proprio di recente, uno dei ministri dell'attuale governo non ha nascosto - anzi, ha fatto in modo che tutti vedessero, rivedessero e notassero - il suo entusiasmo per la virata verso i prodotti locali di una arcinota catena di panini iperglobalizzati. E, guarda caso, sempre lui è stato ora eletto a furor di popolo presidente della regione che lo ha visto nascere. Come dire: anche in campagna elettorale, la pasta al pomodoro non ha chance. Il panino, pur se yankee camuffato da "made in Italy" vince, e alla grande. Fiorenza
martedì 30 marzo 2010
venerdì 26 marzo 2010
Davide contro Golia. 2.0
mercoledì 24 marzo 2010
Il Partito delle Formiche
Stamattina, uscendo dal portone di casa, sono quasi andata a sbattere contro Gilberto Riccioli. Il nome è di fantasia, per difendere quel poco che ancora resta della privacy. Della sua, perché la mia la vedo messa male ultimamente. Il signore in questione però non camminava sbadatamente lungo il marciapiede, bensì se ne stava rigido come un cartone appeso al palo della luce vicino al mio portone. L'ho guardato negli occhi per un secondo, indispettita perché invece di chiedermi scusa per la sua invadenza mi invitava addirittura a votarlo, sfoderando un sorriso finto quanto lo slogan che contornava il suo faccione. "Guardi che con me non attacca", avrei voluto dirgli, "e già che ci siamo, dica ai suoi galoppini di attaccarla un po' più in alto la prossima volta, così quando la vedo non mi prende un colpo". Poi però ho pensato che, essendo il candidato Riccioli così a portata di mano, lo potevo anche levare di torno. E l'ho fatto: ho staccato il cartellone (doppio: il palo della luce è un perfetto uomo-sandwich statico), senza molta fatica a dire il vero; primo perché era alla mia altezza - e non sono quel si suol dire una stangona - e poi perché era stato appiccicato in qualche modo, con un paio di maxi graffette e un pezzetto di nastro da pacchi. Quindi l'ho accartocciato e lo tenuto in mano per un po', fino a quando ho trovato un cestino delle dimensioni idonee a ospitarlo. Non nego però che, passato il primo momento di stizza, il tutto mi ha dato una certa soddisfazione. Anche perché mentre lo portavo verso la sua ultima dimora, ho colto l'occasione per dirgli che lui e i suoi soci - cioè quelli che ultimamente imbrattano abusivamente muri e pali già brutti di per sé, ingombrano con buste e messaggi la mia casella della posta, o peggio ancora mi telefonano a casa la sera, parlando però per interposta persona (ovvero, per voce registrata) - con me perdono il loro tempo. So già chi votare, grazie. Ma se anche fossi indecisa o confusa - e di questi tempi, non è poi così difficile esserlo - piuttosto voterei il rappresentante del Partito del Silenzio, o quello delle Formiche. Se solo si candidassero, ovviamente. E invece niente: il Silenzio preferisce non farsi sentire, e le Formiche a quanto pare hanno cose più urgenti delle quali occuparsi (vedi foto). Speriamo nelle prossime elezioni. Ma soprattutto, speriamo ci siano, le prossime elezioni. Fiorenza domenica 21 marzo 2010
Promesse vane versus mucche concrete
domenica 14 marzo 2010
Squisiti gioielli, e a fin di bene
martedì 9 marzo 2010
The day after
Nove marzo, Milano, ore 8 del mattino: sotto un cielo stancamente grigio e che emana aria ostinatamente fredda, ci si muove come sempre a branchi e a passo veloce per raggiungere l'ufficio, la fermata della metropolitana, il supermercato, la scuola, la casa ecc. E ovviamente, come sempre facendo attenzione a schivare i motorini e motorini che sfrecciano sui marciapiedi, le montagnette di cacche canine di vario colore e dimensione disseminate a macchia di leopardo, le macchine parcheggiate ovunque e come capita, i mozziconi di sigaretta accesi gettati via senza fare attenzione a chi passa in quel momento. Ma a ben guardare, qualche cosa di diverso c'è oggi, a dare un tocco di colore alla usuale dose di incuria e menefreghismo metropolitani: resti di mimose spiaccicate sui marciapiedi e, qua e là, scatoloni color bianco e azzurro che le contenevano (non ci si può sbagliare, grazie alla gigantesca scritta "MIMOSE" che li contraddistingue) mescolati alla solita spazzatura a cielo aperto. Bene, tutto è tornato alla normalità, e questo per assurdo mi tranquillizza. Lo conferma anche Natalia Aspesi, che apre così il suo pezzo sulla prima pagina di la Repubblica di oggi: "Una donna vince l'Oscar per la miglior regia e in tanti si compiacciono che accada proprio l'8 marzo, l'unico giorno in cui si fa finta che le donne contino." Attenzione: non è che le donne debbano contare di più o di meno degli uomini, non è questo il punto: è che sarebbe bello dare e ricevere più attenzione sempre e di "default", indipendentemente dal sesso, dal colore della pelle, dalla professione, dall'età, dall'aspetto fisico, da come la si pensa e dalla data del calendario. Niente foto per questo post, scusate: Le mimose ridotte in poltiglia mi mettono ancora più tristezza di quelle tenute vive a forza per essere smerciate nel giorno dedicato al vocabolo "donna". Fiorenza
lunedì 8 marzo 2010
Otto marzo, a modo mio
No, non datemi mimose,
preferisco altre cose.
Ad esempio, più rispetto
sul lavoro, e dentro al letto.
Più attenzione e intelligenza.
Chiedo troppo? Beh, pazienza.
Ma una cosa più banale
la potreste almeno fare:
che col burka o in minigonna
a decider sia la donna.
Fiorenza
domenica 7 marzo 2010
Fermate l'Italia, vorrei scendere
giovedì 4 marzo 2010
Dolcissima "par condicio" sulla Rocca
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