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domenica 21 marzo 2010

Promesse vane versus mucche concrete

Tra le tante allettanti promesse che si sentono pronunciare ogni giorno, in vari contesti, occasioni e luoghi, quella di sconfiggere il cancro è forse una delle più allettanti e condivisa, ma anche fuorviante e vigliacca perché difficile da mantenere davvero. Ammiro sinceramente le persone, dai medici agli infermieri ai ricercatori fino ai malati stessi, che ogni giorno si impegnano seriamente per cercare di comprendere i meccanismi che portano le cellule a impazzire, allo scopo di prevenire e curare un problema che è universale e non conosce razza, sesso, età o stato sociale. Però, ora più che mai mi sembra doveroso e importante cercare di distinguere tra coloro che sbandierano questo obiettivo sacrosanto - anche se un po' presuntuoso, a onor del vero - per scopi propagandistici, e chi invece lo fa magari più in sordina ma nel concreto, anche al di fuori dei centri di ricerca e delle corsie degli ospedali. Il caso ha voluto che proprio ieri, sabato 20 marzo, mentre in una piazza della capitale si tirava in ballo il Grande Male per aggiungerlo alla lista dei "tranquilli, ci penseremo noi", io mi trovassi a passeggiare tra i campi e le stalle delle Cascine Orsine, a pochi chilometri da Milano e nella campagna pavese. Qui, dal 1975 - e quindi in tempi non sospetti, si potrebbe dire - Giulia Maria Mozzoni Crespi, nome di spicco di una dinastia altrettanto importante, dopo un incontro ravvicinato e ripetuto con la malattia in questione ha scelto di investire parte del suo patrimonio e delle sue energie per avviare coltivazioni e allevamenti che obbediscono alle regole della biodinamica. Non è questo il luogo adatto per spiegare nei particolari di che cosa si tratta; basti dire che questo modo di produrre latte, formaggi, riso, cereali, verdure ecc. ha tra i suoi obiettivi rispettare la terra, la natura, gli animali, per permettere agli esseri umani di alimentarsi in modo più sano senza distruggere il mondo e se stessi, e per dare così un contributo - ovviamente di nicchia, però reale - alla salute dell'universo, al suo equilibrio tanto precario e alla mercé di vari fattori. Ho saputo della coincidenza solo a posteriori, quindi. Ma mi ha dato un grande senso di pace e di giustizia (parola obsoleta, abusata, svuotata di senso e significato, ma che non smette di procurarmi i brividi) venire a sapere che mentre da un palco romano si prometteva a vanvera, io avevo il privilegio invece di camminare al fianco di questa donna, conosciuta e apprezzata per tanti ragioni - dalla gestione editoriale del Corriere della Sera alla presidenza del Fai - cocciuta, dalla tempra e dal carattere d'acciaio, nonostante i suoi 87 anni e la figura esile; e di guardare dentro ai pacifici occhi delle mucche che grazie a lei, al figlio Aldo e alla ventina di persone che lavorano in cascina, hanno la fortuna di essere sì allevate però secondo metodi più rispettosi della loro e nostra natura. Hanno un'aria beata, queste bestie, credetemi; al punto che ho provato anche un pizzico di invidia e il bizzarro desiderio di sdraiarmi a terra vicino a loro, a ruminare in santa pace e senza altro scopo se non quello di esistere e di permettere di esistere. Senza bisogno di cercare consensi e ovazioni schiacciando sul tasto meschino del dolore e della morte. Fiorenza

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