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mercoledì 7 aprile 2010

Il dono più grande che ci sia

"Tieni, te la regalo". "Grazie, molto gentile, ma preferisco di no". "No, guarda, insisto", "Davvero, grazie ancora, come se avessi accettato. Però, mi creda, non mi interessa". "Smettila: te la prendi e basta. È così che funziona in questo gioco", "Ma io non ci voglio giocare!". "Mi dispiace caro, ma quello che vuoi o non vuoi tu, non conta molto. Anzi, per niente. Ti tocca, e chiuso". "Ma non so che cosa farmene!" "Ho detto basta. Ti inventerai qualche cosa. Stai attento però: una volta che ce l'hai, sono affari tuoi. Se poi qualcuno te la maltratta, te la rovina, o se peggio ancora te la rovini da solo, ti arrangi. Al massimo, tra qualche anno la potrai sempre regalare a qualcun altro, come sto facendo io adesso con te". "La mia? Così, dopo che l'ho usata?"."Ma no, che cosa hai capito: la tua te la devi tenere fino alla fine del gioco. No, se proprio vuoi ne regali una nuova. Però adesso è ancora presto per pensare a queste cose. Intanto comincia a prenderti la tua, e senza fare tante storie". "Va be', me la dia. Ma se poi mi stanco di giocare? Sappia che non mi sembra giusto non poter scegliere". "Ci risiamo: se ti stanchi, te la tieni comunque. Lo vuoi capire che quello che pensi tu non conta niente? Sai che sei proprio un bel testone! Uno pensa di farti un favore, e questo è il modo di ringraziare". "Ma io non l'ho chiesto, questo favore". "Ah no? E a me credi che qualcuno l'abbia chiesto quando me l'hanno data? Figurarsi! Io però non ho fatto tutte le moine che stai facendo tu. L'ho presa e basta". "E magari ha anche detto grazie". "Sai che non me lo ricordo? È passato così tanto tempo. Però, ora che ci penso, forse no. Ma che domandi mi fai? E sto anche qui darti retta. Sei più tranquillo ora? Possiamo procedere?". "D'accordo, proceda. Però...". "Stop, non voglio sentire altro. Bene, allora. Eccoci qua: fatto! Ce l'hai. E tra qualche mesetto, sarai pronto per entrare a far parte del Grande Gioco anche tu".

Si lasciò andare, rassegnato, dentro una sorta di mare ovattato e tiepido dove era stato risucchiato. Al quale però cominciò ben presto ad abituarsi. Anzi, tutto sommato non era poi così male, lì dentro: si sentiva cullato, poteva persino fare quello che gli andava, dormire e mangiare quanto e quando ne aveva voglia. No, non era poi così brutto quel gioco. Forse, tutto sommato aveva fatto bene ad accettare il dono da quel signore. Un giorno, però, la pacchia finì, improvvisamente e con una serie di scossoni peggio di un terremoto. "Ma che sta succedendo? Perché nessuno mi dice mai niente qui?", pensò, mentre una forza più grande di lui lo trascinava verso il basso, sempre più giù e sempre più lontano da quel piccolo paradiso dove aveva galleggiato sino a quel momento; era un qualcosa di sovrumano che, prendendolo come a pedate, quasi lo schiacciava spingendolo senza nessun riguardo dentro un cunicolo angusto e poco rassicurante.

Poco dopo si ritrovò all'aperto, tutto nudo, infreddolito e in un ambiente metallico, troppo luminoso, finto e pieno di rumori assordanti. Dove per di più si sentiva tremendamente osservato, e non la smettevano più di toccarlo, rigirarlo, soppesarlo. "Tenete giù le mani! Che cosa volete da me? Aiuto! Fatemi tornare indietro! Mi avete preso in giro! Me lo sentivo io che non lo volevo questo regalo. Non piace questo gioco! Ma perché nessuno mi dà retta?". Niente da fare. Per quanto si sgolasse e si dimenasse con tutte le forze, le sue erano come parole urlate al vento. Poi un paio di mani lo afferrarono saldamente, sollevandolo e avvicinandolo a due perfetti sconosciuti: "Benvenuto a questo mondo, caro mio bel bambino. Eccoti qua, finalmente. E questi sono i tuoi genitori. Sono loro, sai, che ti hanno donato la vita. Su, fai un bel sorrisino a mamma e papà. E dì loro grazie, da bravo". Fiorenza

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