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domenica 18 aprile 2010

Piante e fiori in (e per) libertà

Che cosa si prova entrando in una galera? Beh, ovviamente dipende da come e perché ci si mette piede. A me finora è capitato due volte nella vita. La prima, tanti anni fa, è stato a Stoccarda, qualche mese dopo che nel carcere di Stammheim furono trovati morti alcuni terroristi tedeschi fondatori della Raf. All'epoca vivevo in Germania e mi era stato chiesto di accompagnare in veste di traduttrice una delegazione italiana composta da Dario Fo, Dacia Maraini, Carlo Lizzani e Franco Basaglia, arrivati a Soccarda appositamente per un sopralluogo nel supercarcere "maledetto". Di quell'episodio ricordo soprattutto il senso di impotenza nel varcare la soglia dell'edificio enorme, squadrato e grigio, costruito volutamente per incutere timore e rispetto: un luogo tanto gelido quanto lo l'atteggiamento e lo sguardo delle guardie che ci hanno scortato prima, durante e dopo quella visita. E ho ancora ben presente l'irrazionale ma vivida sensazione che magari durante il sopralluogo - autorizzato ma non certo ben visto - qualche cosa di imponderabile avrebbe potuto andare storto al punto da non permettermi più di uscire da quell'enorme loculo per esseri ancora viventi. Del tutto diversa invece l'esperienza che risale a ieri, nel carcere di Bollate, alle porte di Milano. Consiglio vivamente di leggere sul sito del carcere - vedi link qui sopra - quali sono le caratteristiche, i presupposti, le finalità e la progettualità di questa casa di reclusione. E poi anche, se possibile, di metterci piede fisicamente, per capire meglio e sentire sulla propria pelle. Magari come ho fatto io, per visitare la rigogliosa serra, i verdissimi vivai e il ricco roseto a cura della cooperativa Cascina Bollate e soprattutto di alcuni detenuti che dedicano le loro giornate a coltivare, trapiantare, accudire, amare piante e fiori. Passati i controlli di rito e le procedure di sicurezza - cellulari, macchine fotografiche, medicinali, chiavette usb e altro sono banditi; meglio lasciarli a casa o in auto - è come entrare in un vivaio qualunque. O meglio, a me sinceramente è sembrato addirittura più vegeto e vivace di tanti altri che ho visto negli anni. Al punto che quando, alzando per un attimo lo sguardo dalla terra e dalle piante, mi sono resa conto che stavo camminando a fianco di un muro alto, griglio e con tanto di filo spinato come ornamento, ho avuto un momento di smarrimento: perché nel frattempo mi ero dimenticata di essere all'interno di un carcere, accompagnata nella visita sia da Susanna Magistretti, che una paio di anni fa ha avuto l'idea, la forza e il coraggio di dar vita alla cooperativa, sia dai volontari che le danno un mano, sia dai reclusi che partecipano a questa iniziativa botanica. I quali, alla fine del tour durato un paio di ore abbondanti, hanno salutato con un semplice: "Ecco, noi dobbiamo fermarci qui. Grazie della visita", cui è stato davvero difficile rispondere senza essere banali, scontati o impacciati. Per la cronaca, le piante coltivate in libertà tra le mura del carcere sono in vendita sia nel negozio all'interno della stessa casa di reclusione, sia nei vari eventi e fiere cui la cooperativa partecipa, sia nel Giardino del Re, da Cargo, a Milano. Fiorenza

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